“È un tema che riguarda una normativa nazionale — dice —. I medici di medicina generale sono liberi professionisti, non è nelle possibilità delle Regioni organizzare il loro lavoro come se fossero dipendenti o accreditati. Come commissione della Salute, abbiamo sollevato questo tema. I numeri dei medici di medicina generale non sono diversi da quelli di altri Paesi. Sicuramente un tema diverso nel nostro ordinamento è il numero di ore che lavorano, che è profondamente diverso rispetto alle ore di chi lavora all’interno delle strutture ospedaliere, sanitarie. Questo è quello che crea la percezione di carenza, che non è data dal numero di medici, ma dall’organizzazione» Corriere della Sera/Bergamo 23.10.2021).

Letizia Moratti non è uno sprovveduto avventore di un bar di periferia, ma l’assessore al welfare e vicepresidente della Regione Lombardia, di conseguenza le sue esternazioni, che denotano una assoluta ignoranza su quanto e come lavorano i medici di famiglia, destano sdegno ma anche preoccupazione.

I medici di famiglia devono garantire un numero minimo di ore di attività ambulatoriale, che quotidianamente sono incrementate per fornire una risposta sanitaria, socio-sanitaria e assistenziale ai cittadini lombardi. Alle ore di attività correlate all’apertura dell’ambulatorio ai cittadini, vanno aggiunte le ore di lavoro per rispondere al telefono e fornire una risposta in tempo reale ai bisogni delle persone, le visite domiciliari indifferibili e quelle programmate, le risposte alle innumerevoli mail e messaggi whatsapp che giungono quotidianamente, la ricettazione di terapie croniche ed esami indotti che non può essere delegata al personale di studio perché la responsabilità medico-legale legata a tale atto è in capo al medico prescrittore.

Paragonare le ore e le modalità di lavoro tra due realtà complementari ma profondamente diverse denota un pressapochismo sconfortante.

Invitiamo l’assessore Moratti a rispondere ad alcune domande sperando che le stesse le forniscano spunti di riflessione che le evitino in futuro dichiarazioni agli organi d’informazione lontane dalla realtà.

1) Se è vero che i medici di famiglia lavorano così poche ore al giorno, perché i neo laureati non si iscrivono al corso di formazione in medicina generale? E’vero che la remunerazione per tre anni è praticamente da fame, ma con la prospettiva futura di godersi la vita lavorando solo 3 ore al giorno perché non scelgono la medicina generale?

2) Perché i medici che completano il percorso di formazione in medicina generale decidono di lavorare all’estero?

3) Perché medici di famiglia che lavoravano in Lombardia continuano a vivere nella nostra regione ma lavorano in regioni limitrofe?

4) Perché, se lavora così poche ore al giorno, nei sondaggi di gradimento il medico di famiglia supera il 70%?

Egregio assessore, ci permetta di offrirle un ulteriore spunto di riflessione.

Sono anni che Regione Lombardia promuove politiche che tentano di sottrarre compiti e servizi alla medicina generale a favore di privati convenzionati (ed ultimamente anche alle farmacie); un esempio, ultimo solo per ordine di tempo, il tentativo fallito di appaltare i pazienti con patologie croniche (la defezione dell’Humanitas mette la parola fine a quest’avventura costata milioni di euro ai cittadini lombardi).

Sono anni che in Regione si perseguono strategie per la medicina generale, come il modello cooperativistico, gradite ad alcuni sindacati che non rappresentano i desiderata dei medici lombardi.

Si torni al confronto serrato e senza pregiudiziali con tutte le componenti sindacali della medicina generale, si torni a incentivare adeguatamente il personale medico chiedendogli non di assolvere compiti burocratici ma di raggiungere obiettivi di salute e si abbandoni l’illusione di costringerci alla cosiddetta “medicina amministrata”.

A queste condizioni, i medici di famiglia della Lombardia sono pronti a fare la loro parte.

Dr Antonio Sabato - Responsabile Regionale MG

   

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